Pakistan, operai bruciati vivi. Ma la fabbrica aveva certificazione di sicurezza italiana

DAL FATTO QUOTIDIANO.IT

Quasi 250 operai bruciati vivi nello stabilimento in fiamme, appena certificato come ‘sicuro’. L’inferno della Ali Enterprises, il settore tessile dei poveri, il peggiore incidente industriale della storia pakistana.
Neppure sulla validità dei sistemi di controllo che, solo un mese prima, avevano dato all’azienda l’ambita certificazione SA8000. Questo prestigioso attestato internazionale era stato rilasciato all’azienda il 20 agosto, meno di un mese prima dalla Rina, il Registro Italiano Navale di Genova, una società di ispezione accreditata a livello mondiale: da anni il gruppo ligure tiene sotto controllo centinaia di aziende in tutto il pianeta, per conto di una struttura di New York. Sigle remote e anonime, che parlano la lingua franca della globalizzazione.
Corruzione, malagestione, ricatti, omertà: è il sistema dell’industria tessile pakistana. Che, da sola, vale il 53% delle esportazioni del Paese. E che vede consumarsi una strage dopo l’altra. Compresa quella dello scorso 11 settembre a Karachi: una tragedia evitabile, avvenuta in uno stabilimento in cui, su oltre mille impiegati, solo 250 erano assunti regolarmente.
“Al momento della visita le cose erano effettivamente a posto. Purtroppo il nostro lavoro non è di vigilanza giorno per giorno”, aggiunge Faravelli: “C’è poi una effettiva parte di responsabilità dell’azienda, che dal giorno dopo la visita può scegliere di non rispettare più le norme”.
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