Le primavere arabe due anni dopo

DAL FATTO QUOTIDIANO.IT

A quasi due anni dall’esplosione delle primavere arabe è giunto il momento di trarre un primo, non facile, bilancio. Un’immagine d’insieme ci è data dal grafico recentemente pubblicato da Freedom House (figura 1). (1) Mostra come, fra i paesi Mena (Middle East and Nord Africa), solo l’Egitto, la Libia e soprattutto la Tunisia hanno realizzato significativi progressi in termini di libertà politiche e civili, giacché sono riusciti ad abbattere i precedenti regimi, hanno tenuto libere elezioni, verificate da osservatori internazionali, e stanno riscrivendo le loro costituzioni. Progressi più marginali sono stati compiuti dalle monarchie non petrolifere della regione, Giordania e Marocco, che hanno varato blande riforme istituzionali. Tutti gli altri paesi del Golfo, con l’eccezione dell’Oman e del Kuwait, hanno, invece, visto ridursi le libertà o lievemente o addirittura pesantemente, come nel Bahrain, nello Yemen e in Siria, che per altro già partiva da una situazione particolarmente negativa.
Le monarchie registrano una percentuale di “rivoluzioni” nettamente inferiore a quella osservata nei paesi repubblicani e presentano regimi molto più stabili.
Gli stati ricchi di materie prime non agricole si dimostrano particolarmente restii a evolvere in senso democratico.
Le democrazie che escono da guerre civili cruente, specie di natura etnico-culturali, sono mediamente meno rispettose dei diritti politici e civili di quelle che nascono da rivolte pacifiche.
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