Cave e acque minerali: buoni affari per i privati, non per l’ambiente

DAL FATTO QUOTIDIANO.IT

L’Italia è, ahimè, il paese dei costruttori, e quindi anche delle cave. Nel 2010 ne erano attive la bellezza (si fa per dire) di 5736 (!), per lo meno queste erano quelle autorizzate. Due i principali motivi. Il primo, che in Italia il riciclo di materiale proveniente dall’edilizia è pressoché inesistente (in Olanda raggiunge il 90%). Il secondo è che l’estrazione di inerti ha costi irrisori. Alle Regioni arrivano 36 milioni di euro, mentre il business delle imprese dei cavatori ammonta ad un miliardo e 115 milioni di euro.
Un quadro che la dice lunga oltre che sulla capacità di far quadrare i conti pubblici dei nostri amministratori, oltre che sulla loro sensibilità ambientale. E dire che le estrazioni, se da un lato potrebbero garantire un gettito ben più alto, dall’altro costituiscono un danno enorme per l’ambiente, specie quelle lungo i corsi d’acqua.
Per il business delle acque minerali, in teoria le Regioni dovrebbero pretendere un canone basato sia sugli ettari concessi per lo sfruttamento, sia sui metri cubi di acqua estratta oppure imbottigliata. Non si sa perché, invece, solo poche Regioni applicano questi criteri, mentre altre limitano l’introito ad una sola tipologia. Clamoroso il caso della Liguria, che pretende solo 5 (leggasi “cinque”) euro per ettaro all’anno!
Secondo Legambiente, l’imbottigliamento di 12,5 miliardi di litri nel 2008 abbia comportato l’uso di circa 365mila tonnellate di PET, un consumo di 693mila tonnellate di petrolio e l’emissione di 950mila tonnellate di CO2 equivalente in atmosfera.
Per saperne di più leggi l'articolo: Cave e acque minerali: buoni affari per i privati, non per l’ambiente

Nessun commento:

Posta un commento