L’Ilva, la diossina e l’inesistente politica industriale italiana

DAL SITO DEL FATTO QUOTIDIANO

L’Ilva di Taranto è un enorme museo vivente, un vero e proprio reperto di archeologia industriale: uno degli ultimi impianti non solo in Europa, ma anche nel mondo ad utilizzare il vecchio procedimento di cokeraggio ed altoforno, con tutto il suo corollario di inquinamento. E’ il vecchio ciclo produttivo a base di cokerie ed impianti di agglomerazione a produrre quei livelli paurosi di inquinanti, come le tanto – e giustamente – temute diossine, il benzene, gli idrocarburi policiclici aromatici, ma anche la stessa polvere di coke, materiale tuttora stoccato a cielo aperto, nonché a ridosso dell’abitato.
Fare dipendere dallo stabilimento vetusto di Taranto l’intera filiera della metalmeccanica italiana è la prova che di politica industriale in Italia ce n’è stata ben poca negli ultimi anni. Una politica industriale lungimirante, impostata su criteri di sostenibilità, avrebbe posto la modernizzazione con conversione a sistemi produttivi meno impattanti del polo siderurgico di Taranto al centro delle proprie strategie.
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