Quelli (come Panebianco) che "o i veleni dell'Ilva o niente sviluppo"

DALLO HUFFIGTON POST


La questione Ilva è drammatica. Per gli aspetti legati alla salute e all'ambiente innanzitutto, ma anche per il futuro industriale del nostro Paese. A oggi è impossibile dire se l'estremo tentativo in atto di dimostrare che in Italia si può produrre acciaio senza avvelenare territorio, cittadini e lavoratori (come si riesce a fare in mezzo mondo) avrà successo.
Angelo Panebianco che in un editoriale pubblicato qualche giorno fa sul Corriere della Sera ha esposto il seguente sillogismo: chi pretende che l'Ilva smetta di avvelenare impunemente la città di Taranto è un nemico del progresso e dello sviluppo e un sostenitore della "decrescita infelice".
Produrre acciaio, come ogni altro manufatto, infischiandosene delle leggi e della salute non è "moderno" e non è nemmeno "economico".
Non è moderno perché della modernità fa parte l'idea, sempre più diffusa e condivisa, che oggi il benessere non tolleri alcuno scambio tra lavoro e salute.
Lo scambio tra lavoro e salute è anche un'idea sostanzialmente anti-economica. Soprattutto per un Paese come l'Italia, dove produrre costa più che in buona parte del mondo, puntare per il futuro dell'industria sull'eccellenza tecnologico-ambientale e insieme sulla qualità e creatività tradizionali della manifattura italiana non è soltanto un obbligo imposto dalle leggi: è l'unica via realistica per difendere le nostre capacità competitive in campo industriale e con esse il lavoro di milioni di persone.
Per saperne di più leggi l'articolo: Quelli (come Panebianco) che "o i veleni dell'Ilva o niente sviluppo"

1 commento:

  1. Puntare per il futuro dell'industria sull'eccellenza tecnologico-ambientale. «L'ambiente è il futuro del lavoro», ma anche «il lavoro è il futuro dell'ambiente»

    RispondiElimina